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Cecilia Mangini, il cinema e Pasolini

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Questo pezzo è uscito sul Venerdì di Repubblica. (Fonte immagine)

“Il mondo è di chi lo vuole. Questo era Pasolini”. Quando racconta del suo incontro con Pierpaolo Pasolini, Cecilia Mangini riesce a rievocare l’Italia estinta delle periferie e dei ragazzi di vita, e l’ostinata passione di chi in quell’Italia faceva cinema per raccontare la realtà. Nata a Mola di Bari nel 1927, prima donna a girare documentari nel dopoguerra, autrice insieme a Pasolini di capolavori come Ignoti alla città e La canta delle marane, documentarista sempre (dice: “si diventa documentaristi e si resta tali”), Mangini è oggi coregista e protagonista di un film che è al tempo stesso viaggio di memoria nel tempo e nello spazio e struggente cronaca del meridione d’Italia.

Girato in Puglia nell’estate del 2012 insieme alla regista e sceneggiatrice Mariangela Barbanente, film di apertura all’ultima edizione del Festival dei Popoli, uscito a fine gennaio nelle sale italiane, In viaggio con Cecilia parte dall’idea di raccontare il cambiamento (sostanzialmente di certi luoghi dell’Italia in questi ultimi cinquant’anni) per approdare a una felice e riuscitissima narrazione del presente, del “qui e ora”, di Taranto e di Brindisi come città laboratorio di ciò che accade nel resto del paese. Nel film memorie del passato (a tramandare il prezioso repertorio di Cecilia Mangini) e immagini del presente che dall’ILVA di Taranto si muovono alla ricerca dei ragazzi di vita di oggi. Per scoprire che semplicemente non esistono.

In una delle ultime scene del film, Cecilia Mangini è fuori dai bar di una Brindisi notturna affollata di giovani. Li interroga su cosa si aspettano dalla vita e dal futuro. E le risposte sono: niente; vivo alla giornata; spero di avere tanti soldi da dare in beneficienza; non lo so, non sono informato. La regista ribatte: Scusa, perché non sei informato? Chi te l’ha impedito di informarti? Le viene detto: non ne abbiamo voglia. “Pensavo di trovare tutt’altro clima e tutt’altre reazioni”, dice oggi Mangini, che da questi ragazzi si aspettava “il senso della protesta, la volontà di esprimere il loro malessere, il sentirsi traditi, l’avercela con la scuola”. Capisci così che da qualche parte tra il Novecento e l’oggi l’equilibrio tra generazioni dev’essere andato perduto, perché dovrebbero essere questi stessi giovani, mossi da curiosità e desiderio di conoscenza, a interrogare Cecilia Mangini. E non il viceversa.

Della propria giovinezza e del come ha iniziato a fare documentari, la regista racconta cominciando da un campo lungo che ha in sé il ritratto dell’Italia del dopoguerra e del disincanto, un passato da fascista e poi di colpo, inatteso e destinato a durare tutta la vita, l’incontro con il cinema. Racconta: “Ho visto La grande illusione di Jean Renoir e mi sono liquefatta”. E poi, parlando sempre di quell’Italia rovinata dalla guerra : “Il cinema ci ha ridato la speranza”. All’epoca faceva la fotografa e un giorno Fulvio Lucisano le chiese di girare un documentario. Lei scelse le periferie di Roma, e scelse Pasolini, per raccontarle non con il pianto e il lamento ma con i ragazzi di vita. Cercò Pasolini sull’elenco del telefono, lo trovò, lo chiamò. Ignoti alla città fu l’inizio. Appunto: il mondo è di chi lo vuole.


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